mag 28

“Autoriciclaggio”, reati tributari e responsabilità degli enti

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Dopo decenni di aspri dibattiti, potrebbe approdare nel nostro ordinamento il reato di “autoriciclaggio”. Tanto rappresenterebbe una svolta epocale nella storia del diritto italiano, dato che l’introduzione del nuovo illecito riverberebbe i propri effetti sull’intero sistema sanzionatorio penale. All’attualità, infatti, il codice penale punisce soltanto i soggetti “terzi” al reato presupposto che compiano attività di occultamento del denaro di provenienza illecita.

La norma

Come noto, l’articolo 648 bis del codice penale punisce chiunque, fuori dei casi di concorso di reato, sostituisca o trasferisca denaro, beni, o altre utilità che provengano dalla commissione di un delitto non colposo. È vietata, altresì, ogni altra operazione diretta ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro o dei beni.

In altre parole, la norma mira ad impedire la commissione di quelle attività dirette all’occultamento o alla disposizione di beni derivanti da un’attività criminosa. La pena base prevista è della reclusione da quattro a dodici anni e della multa da 1.032 euro a 15.493 euro.

Dal tenore letterale della norma si evince che non può essere punito chi abbia “concorso” alla realizzazione del reato presupposto. Esemplificando al massimo, ad un rapinatore che abbia utilizzato il “bottino” per acquistare oro e gioielli non potrà essere ascritto, oltre ovviamente al reato di rapina (ex art. 628 c.p.), anche l’illecito di riciclaggio ex art. 648-bis c.p. poiché il soggetto attivo del reato (di riciclaggio) può essere solamente la persona estranea al delitto presupposto da cui proviene il denaro “sporco”.

Diversa è l’ipotesi, invece, di un soggetto che non abbia partecipato alla rapina ma che comunque abbia coadiuvato il rapinatore, in un secondo momento, a ripulire il malloppo.

La giurisprudenza

La suprema Corte di Cassazione è intervenuta in più occasioni fissando alcuni paletti in materia. Tra le sentenze più significative vi è la n. 9226/13. In tale occasione la Corte ha escluso la configurabilità del delitto di riciclaggio in capo ad un soggetto imputato del reato di bancarotta fraudolenta. Questi avrebbe tratto in inganno una terza persona inducendola a sottoscrivere una polizza mediante la quale riciclare il denaro proveniente dal reato di bancarotta. Secondo la pubblica accusa, in estrema sintesi, l’induzione a sottoscrivere la polizza mediante inganno, sarebbe idonea alla configurabilità del reato di riciclaggio in applicazione dell’art. 48 del codice penale. In particolare, tale ultimo articolo prevede che del fatto commesso dall’autore “immediato”, cioè dall’agente in quanto vittima dell’inganno (incolpevole perché in errore), risponda il c.d. autore “mediato”, cioè l’autore dell’inganno medesimo.

Tuttavia la Cassazione, pur ammettendo che l’imputato potesse astrattamente essere punito per il reato di riciclaggio “mediato” (ex combinato disposto degli artt. 48 e 648 bis c.p.) avendo posto in essere una tipica fattispecie di riciclaggio a mezzo di un terzo tratto in inganno, ha escluso la sua punibilità in concreto ribadendo alcuni concetti fondamentali di diritto. La Corte ha ricordato che la regola principale prevista dall’art. 648 bis c.p. è che chiunque sostituisca o trasferisca denaro in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza, è responsabile del delitto di riciclaggio “fuori dei casi di concorso nel reato presupposto”. Eppertanto colui che ha commesso il reato presupposto non può essere punito anche per il reato di riciclaggio, “essendo del tutto irrilevanti le modalità” con le quali sostituisca o trasferisca il provento del reato presupposto.

Insomma, gli Ermellini hanno giustamente sottolineato che non è configurabile il delitto di “autoriciclaggio” poiché principio basilare su cui si fonda tutto il diritto penale è il “secolare” principio di legalità di cui all’art. 1 cod. pen..

Le novità in cantiere, i reati tributari e la responsabilità amministrativa da reato degli enti.

Ebbene, al vaglio dei ministeri Interno e Giustizia c’è un nuovo pacchetto di articoli che potrebbe emendare l’attuale sistema normativo in materia di riciclaggio e ricomprendere nel novero dei soggetti punibili anche il reo del reato presupposto.

L’intervento normativo, come detto, avrebbe un impatto significativo sull’intero sistema penalistico, in particolar modo in relazione agli illeciti già severamente puniti non solo dal codice penale ma anche in via amministrativa.

Oltre alle implicazioni processuali di varia natura (collegate, ad esempio, alla commisurazione della pena mediante il cumulo materiale per le ipotesi di concorso di reati, o problematiche relative alle complesse ipotesi di progressione criminosa e antefatto/postfatto non punibili), le maggiori questioni riguarderebbero una potenziale “triplicazione” o addirittura “quadruplicazione” della pena in relazione ad alcuni reati.

È l’ipotesi degli illeciti tributari che sono sanzionati in primis sul piano amministrativo e, al ricorrere di determinati presupposti qualitativi e quantitativi, anche penalmente dal D.Lgs. 74/00.

In applicazione del principio di specialità attenuato, infatti, la commissione di un illecito penale tributario comporta comunque l’irrogazione in capo all’ente delle sanzioni amministrative. Il profitto dell’illecito è quindi aggredito in sede di sanzione amministrativa.

Da qui la triplicazione della sanzione. In estrema sintesi: in primo luogo vi è la sanzione amministrativa comminata dall’Agenzia delle Entrate a seguito della propria attività accertativa delle maggiori imposte non versate. In secondo luogo, ricorrendone i presupposti, potrebbe essere attribuito uno dei reati di cui al D. Lgs. 74/00 alla persona fisica responsabile dell’evasione fiscale. Inoltre, dato che il risparmio di imposta conseguito mediante l’illecito fiscale viene naturalmente reinvestito nell’attività economica e produttiva di un’azienda, si ipotizza anche che dovrebbe configurarsi in capo al rappresentante legale persona fisica il reato di autoriciclaggio del provento del reato.

A tanto aggiungasi che, salvo sorprese, il reato di nuovo conio dovrebbe seguire la stessa sorte dei reati di ricettazione, di riciclaggio e di rimpiego, e quindi rientrare quasi automaticamente nel ventaglio degli illeciti presupposto che “fanno scattare la responsabilità penale delle società ai sensi del D.Lgs. 231/2001”!

In tal senso si assisterebbe pertanto ad una “quadruplicazione” delle sanzioni per un singolo stesso reato. Infatti, a condizione che il reato di autoriciclaggio rientri nei reati presupposto 231 (presumibilmente sarà così), a carico della società si instaurerebbe un procedimento penale parallelo rispetto a quello della persona fisica. Quindi con conseguenti ulteriori pesantissime sanzioni pecuniarie ed interdittive a carico della società medesima. Ed infine non si dimentichi la misura estremamente afflittiva della confisca del profitto del reato che, in caso di autoriciclaggio, non incontrerebbe le limitazioni elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia di sequestro e confisca del provento dei reati tributari.

a cura di Luca Cellamare