mar 14

Il figlio che lasci soli il padre o la madre incapaci di badare a sé stessi commette reato

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Il figlio che lasci soli il padre o la madre incapaci di badare a sé stessi commette reato

Una recente sentenza del tribunale di Firenze conferma l’assunto secondo cui il figlio che volontariamente non presta assistenza e non aiuta il genitore malato o disabile, commette reato:  i figli non possono sottrarsi all’obbligo di curare e assistere il genitore in difficoltà e  se lo fanno  pur sapendo che il padre o la madre anziani , non possono  provvedere a se stessi, commettono il reato di abbandono di persone incapaci.

La legge sanziona chiunque abbandoni una persona minore di 14 anni o una persona incapace, per malattia, per vecchiaia o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere la cura.

La pena è la reclusione da sei mesi a cinque anni.

Costituisce “abbandono” qualsiasi azione od omissione che contrasti con l’obbligo della custodia o della cura; per la sussistenza del reato in esame occorre inoltre che, in dipendenza dell’abbandono, si crei uno stato, sia pure potenziale, di pericolo per la incolumità della persona abbandonata.

Se la pubblica accusa  dimostra che vi sia stata una condizione di incapacità effettiva, che abbia  potenzialmente esposto l’anziano a un rischio per la propria sicurezza, allora si può avere il reato: dunque  comportamento del figlio indifferente va valutato in relazione alle capacità del genitore, alla gravità della malattia, alla sua autonomia materiale e mentale.

Diversa è la fattispecie dell’obbligo di dare i soldi ai genitori anziani incapaci economicamente: il codice civile impone solo la prestazione dei cosiddetti alimenti, ossia lo stretto indispensabile per mangiare e vivere  a condizione che il genitore non abbia ancora il coniuge in grado di provvedere al suo mantenimento.

Solo infatti quando il marito o la moglie non ha più le possibilità di prendersi cura del consorte  scatta l’obbligo per i figli . L’onere  non va ripartito in parti uguali tra la prole: ciascuno infatti è tenuto in base alle proprie possibilità economiche. In pratica, in presenza di più obbligati di pari grado, il giudice non prevede una ripartizione, in egual misura, tra questi ultimi della somma necessaria al sostentamento del bisognoso, ma provvede in proporzione alla disponibilità economica di ciascuno.

La disciplina dettata dal codice civile  si riferisce alla sola obbligazione alimentare legale e quindi all’obbligazione di prestare aiuto economico alla persona che versa in stato di bisogno da parte di chi vi è legato da particolari vincoli familiari. Il diritto agli alimenti comprende non solo gli alimenti naturali, quali vitto, alloggio, cure mediche, ma anche i cosiddetti doveri civili, connessi invece ai bisogni di natura morale e sociale.

Per quanto concerne i discendenti, la norma prevede un riferimento ai figli legittimi, legittimati, naturali e adottivi o, in assenza, ai discendenti prossimi, anche naturali. La legge di riforma del diritto di famiglia ha eliminato ogni distinzione tra figli legittimi e figli naturali. L’obbligo alimentare fa quindi carico ai discendenti quale che sia il rapporto di filiazione che lega il figlio al genitore.