feb 11

L’applicazione del principio di parità nello Statuto e nella legge elettorale della Regione Puglia

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Di fronte al quadro normativo attuale si può realisticamente sostenere che, ormai, le norme ci sono: a partire dalla Carla dei diritti dell’Unione Europea e dalla Costituzione italiana in giù viene sancito un principio coerente, vale a dire che esiste un sesso sottorappresentato e che quindi occorre procedere per
ridurre tale divario.
Risulta altrettanto evidente, quindi, che le aspettative in ambito regionale per la formulazione del nuovo Statuto regionale fossero molto elevate.
La Commissione per le Pari opportunità, nel 2003, ha ovviamente iniziato a seguire i lavori preparatori della apposita Commissione speciale presieduta da Alberto Tedesco che, peraltro, ha svoto un lavoro tenace e costante superando, con abilità, difficoltà tecniche e problemi politici.
Già attraverso la lettura del testo, nella versione iniziale si è via via andato delineando un quadro alquanto deludente circa la considerazione e l’applicazione concreta del principio di pari opportunità nello Statuto.
La formulazione della bozza del testo, licenziata dalla VII Commissione
consiliare speciale, è stata sottoposta alla lettura e al parere di moltissime realtà istituzionali, economiche e sociali, tra cui la Commissione per le pari opportunità, che è stata annoverata tra i soggetti invitati nelle audizioni.
Per dare sostanza giuridica ai dubbi e alle perplessità, in particolare, sul contenuto dell’art. 6, la Commissione ha richiesto un motivato parere al ministro in carica Stefania Prestigiacomo, che non ha fatto mancare il suo supporto attraverso il parere di una esperta da Lei incaricata di esaminare la questione.
In primo luogo, lo Statuto regionale – sostiene nella risposta l’esperta, la professoressa Luisa Corazza – non si spinge ad individuare concrete misure per la promozione delle pari opportunità, come ci si aspetterebbe, ma ricalca la formula costituzionale, che dovrebbe, invece essere riempita di contenuto dalle normative regionali. In secondo luogo, si deve osservare che, mentre l’art. 117 Cost. esorta le leggi regionali a rimuovere ogni ostacolo che si frappone ad una piena parità tra uomini e donne, riferendosi pienamente ad un concetto di eguaglianza sostanziale, la norma statutaria, limitandosi a garantire, nel primo comma, la piena parità tra i sessi, sembra limitare l’intervento della Regione al meno incisivo profilo dell’uguaglianza formale.
In pratica il parere ha confermato in pieno il giudizio della Commissione stessa, circa i contenuti pleonastici, ripetitivi della Costituzione e, quindi, del tutto carenti e insufficienti sul tema del riequilibrio della rappresentanza e delle pari opportunità.

L’audizione e l’ascolto
In sede di audizione si è sviluppato un dibattito ampio, quale risulta dal resoconto stenografico della riunione del 23 giugno 2003, presieduta da Alberto Tedesco. Nell’intervento, i cui contenuti erano stati condivisi dalle componenti della Commissione, sono partita da una considerazione:
Vorrei fare riferimento ad una frase tratta dalla relazione dell’onorevole Zanardelli ad un disegno di legge del 1880 nella quale, per motivare il diniego
del voto politico alle donne, si afferma che, «pur riconoscendone
cavallerescamente l’intelligenza, sarebbe recare loro un cattivo servizio trascinandole in un’arena ove perderebbero la loro vera dignità, grazia e forza».
La domanda è quanto questa idea dell’esclusione “implicita’ delle donne sia ancora radicata nella nostra mentalità, ponendo la questione come elemento intorno al quale costruire il nostro dibattito sullo Statuto.
Dopo un’ampia disamina dei temi più attuali, discussi anche a livello nazionale, in quella sede, insieme alle rappresentanti della Consulta femminile, del Coordinamento delle Associazioni femminili e del Comitato pari opportunità dell’Ordine degli avvocati di Bari, sono state formulate osservazioni su alcuni articoli: il rilievo mosso in linea generale ha riguardato non solo l’art.6 ma, principalmente, l’assenza di alcuna forma di garanzia sulla presenza “di genere’ nella composizione della Giunta regionale, del Consiglio delle autonomie locali e nella Conferenza permanente per la programmazione economica, territoriale e sociale.
Il rischio avvertito e dichiarato è stato, con precisione, che nella composizione di tali organi non si tenesse in alcuna considerazione il principio di una equilibrata presenza dei due generi.
Una presenza tutta al maschile nella Giunta regionale, nell’organismo di rappresentanza degli enti locali (dove i sindaci tranne rare eccezioni sono tutti uomini) e in quello di programmazione costituito da formazioni sociali e del terzo settore avrebbe costituito, a giudizio della Commissione, un vulnus, un deficit di partecipazione delle donne e quindi una carenza di democrazia paritaria.
Le modifiche apportate dopo la consultazione sono state minime e di forma e il testo è risultato così formulato:
1. La Regione garantisce in ogni campo dell’attività politica, sociale, familiare, scolastica, professionale e lavorativa il principio della parità tra i sessi, valorizzando la consultazione degli organismi di parità e pari opportunità istituiti con legge regionale ai sensi degli articoli 3 e 51 della Costituzione italiana.
2. La legge regionale promuove parità di accesso fra donne e uomini alle cariche elettive e pubbliche, allo scopo di favorire l’equilibrio della presenza fra generi.

Pertanto, dopo l’approvazione in prima lettura dello Statuto ( con deliberazione
n. 155 del 21 ottobre 2003), è stata formulata una lettera aperta, diffusa anche attraverso il sito della Commissione, che ha spiegato i motivi delle critiche nei confronti del testo (la lettera, va detto per dovere di cronaca, ha raccolto moltissime firme di adesione).

L’approvazione, in prima lettura, dello Statuto della Regione Puglia, che determinerà la vita della nostra Regione almeno per i prossimi vent’anni, fa registrare un dato: tutte (o quasi) le forze politiche pugliesi sono state concordi nella sottovalutazione del ruolo e della valenza della partecipazione femminile alla vita politica.
Questo giudizio non è improvvisato ma, viceversa, è supportato dal parere
espresso – su richiesta della Commissione per le pari 0pportunità – dal Ministero alle pari opportunità retto dall’onorevole Prestigiacomo.
Rispetto alla promozione dei principi di cui all’articolo 127 ‘nuovo’ della Costituzione italiana che assegna alle Regioni il preciso e chiaro compito di «rimuovere ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovere la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive», in realtà, l’art. 6 dello Statuto, in base al quale la «Regione garantisce in ogni campo dell’attività politica sociale e lavorativa il principio della parità tra i sessi», non precisa come si intenda assolvere a questo importante ruolo e con quali modalità raggiungere una vera democrazia paritaria che vuoi dire una “normale’ presenza di donne e uomini nei luoghi dove si decide del bene comune.
Infatti lo Statuto non individua concrete misure per la promozione delle pari opportunità, ma ricalca la formula costituzionale che deve – invece – essere riempita di contenuto dalla normativa regionale.
La norma statutaria – quindi -limitandosi a garantire il principio della parità tra i sessi limita l’intervento della Regione al solo profilo dell’uguaglianza formale senza riferirsi al concetto, assolutamente più attuale, dell’uguaglianza sostanziale.
Quale soddisfazione si può esprimere per questa garanzia come se la stessa non fosse frutto di anni di lavoro e di diritti conquistati anche con fatica? Oppure si deve ritenere che le donne pugliesi non incontrino ostacoli o che non esistano situazioni di svantaggio e di difficoltà’?
Non sfugge la genericità di tale formulazione a fronte di una realtà come quella del Consiglio regionale in cui lo squilibrio della rappresentanza è pari al 100% di presenza maschile.
Il secondo comma dell’art. 6 prevede che «la legge regionale promuove parità di accesso fra donne e uomini alle cariche elettive e pubbliche»: quindi si tratterà di affrontare sia l’argomento nomine e incarichi pubblici, da cui in genere le donne sono escluse, sia la previsione di meccanismi precisi nella legge elettorale regionale.
Questo comporta che il principio di parità deve valere sia nelle competizioni
elettorali sia in ordine alle nomine, su designazione politica, nei vari Enti da cui le donne sono escluse ‘a priori’ nonostante qualificati curricula, competenze e capacità professionali.
L’auspicio è che il legislatore regionale voglia tener contò delle perplessità sollevate in ordine alla carente previsione di strumenti di attuazione del principio Costituzionale.
Di fronte ad un appuntamento così importante un punto rimane fermo ed è quello dell’attenzione e della mobilitazione delle numerose associazioni femminili, degli organismi di parità territoriali e delle professioni sui contenuti della legge elettorale regionale, attualmente in fase di elaborazione: sarà quello il banco di prova della reale volontà politica di fissare norme che garantiscano la presenza equilibrata delle donne nelle Istituzioni.
L’appello-invito a sottoscrivere questo documento è rivolto a rappresentanti
istituzionali, dei sindacati, dei partiti, degli Ordini professionali
e delle categorie produttive, nonché ai cittadini ed alle cittadine che hanno a cuore lo sviluppo della democrazia paritaria e partecipata nella nostra
comunità.

Il testo dello Statuto è stato approvato in seconda lettura (con deliberazione
n. 165 del 3-4-5 febbraio 200-1.) nella stessa formulazione.
In pratica un Consiglio regionale tutto al maschile non ha sentito su di sé la responsabilità di dover rappresentare anche le esigenze e le istanze del genere femminile assente e, invece di fare di più e meglio su questo tema, ha privilegiato la scelta del ‘volare basso ‘, del dire il minimo indispensabile.
Non si tratta di una critica ingiusta o di parte: questo dato è confermato
da un semplice confronto con le formulazioni degli Statuti delle altre Regioni, ad esempio del Lazio o della Calabria, che sono riuscite a completare i lavori e che, non tanto sul tema dei principi ispiratori, quanto su quello degli organismi di pari opportunità, sulla composizione della Giunta e sulla legge elettorale, hanno sprecato qualche parola in più e testimoniato una seria volontà politica
di affrontare un argomento certamente non facile o scontato.
Nonostante un appello finale rivolto al presidente Fitto, da Commissione
e Consulta femminile, a sviluppare, tra la prima e la seconda votazione, un confronto sui temi della democrazia paritaria e partecipativa, nulla è mutato.
La legge regionale numero 7 del maggio 2004 consegna ai pugliesi uno Statuto in cui non viene mai citata la parola “cittadine’, mentre la parola “donne” viene usata una sola volta nell’art. 24: «Il Consiglio regionale è composto da settanta consiglieri eletti a suffragio universale dai cittadini, donne e uomini, iscritti nelle liste elettorali dei Comuni della Puglia».
È fin troppo facile, anche se amaro, commentare che le donne devono “normalmente’ andare a votare, ‘raramente’ essere votate e “preferibilmente’ mai essere elette!

La legge elettorale
Conclusa la fase di approvazione dello statuto, in Puglia si è aperta la discussione sui sistemi di elezione del presidente e dei consiglieri regionali che, secondo la legge costituzionale n. 1 del 1999, ogni Regione può scegliere liberamente nei limiti dei principi fondamentali stabili con legge dello Stato.
È facile comprendere come fosse alta l’attenzione, anche su questo tema, sul quale c’è da registrare un intervento pubblico della Commissione, ripreso dalla stampa:
Nel dibattito sulla nuova legge elettorale che la Regione sta elaborando,
non può mancare anche l’aspetto del recepimento dei principi ‘paritari’
contenuti negli articoli 51 e 117 della Costituzione, nonché dell’articolo 6 dello Statuto.
Il momento è essenziale per «un forte impegno ed una attiva mobilitazione
delle donne sul territorio per la valorizzazione’ e l’incremento della presenza femminile nelle liste delle prossime elezioni regionali ” sono le
parole rivolte dal ministro Prestigiacomo alle presidenti delle Commissioni regionali in un recente incontro durante il quale il ministro ha anche illustrato il disegno di legge presentato nei giorni scorsi dal Governo con il quale si prevede che nelle elezioni della Camera e del Senato, nonché nelle elezioni comunali e provinciali. nessuno dei due sessi sia rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati.
Questo principio, di recente applicato con Successo nelle elezioni europee,
deve rappresentare un elemento di dibattito nelle Regioni: la Toscana che ha già approvato la propria legge elettorale lo ha recepito in pieno mentre in Lombardia si discute sulla presenza del 50% di candidate nelle liste (a pena di inammissibilità della lista stessa).
Anche in Puglia c’è attenzione sull’argomento e, infatti, una nutrita delegazione di rappresentanti del Coordinamento delle associazioni femminili e donne di partito, con le presidenti di Consulta e Commissione pari opportunità, prima della pausa estiva, ha incontrato Alberto Tedesco in qualità di estensore del testo della legge elettorale pugliese”.
L’argomento è complesso perché coinvolge concetti come il diritto alla
candidabilità o la cosiddetta democrazia duale che vuol dire la partecipazione dei due sessi nelle decisioni ‘pubbliche’.
Sul tema si dovrà discutere partendo da alcuni punti fermi: le donne rappresentano una realtà che non si può ignorare, le istituzioni devono rappresentare la società in cui donne e uomini condividono le responsabilità, il consenso si conquista anche su questo terreno di attenzione verso
una parte rilevante dell’elettorato.
L’esperienza dei Sindaci di Bari e Brindisi o del presidente della Provincia di Bari (‘he hanno nominato diverse donne come assessori) devono far riflettere tutti su un dato: indietro non si torna perché sarebbe antistorico ed anacronistico e le donne sono pronte ad una seria mobilitazione civile e politica!. .. E i partiti?

In realtà, dopo un dibattito aspro tra maggioranza e opposizione dovuto alla iniziale proposta della maggioranza di introdurre lo sbarramento a14% per i partiti, cui ha fatto seguito un confronto duro caratterizzato da scontri dialettici e da uno “fisico”, peraltro ampiamente riportati dalla stampa, in Consiglio regionale si è giunti, appena in tempo prima del limite di scadenza, all’approvazione della nuova legge elettorale con cui i pugliesi avrebbero scelto il presidente della Giunta.
Come è noto, la legge regionale 28 gennaio 2005 n. 2 prevede l’elezione diretta del presidente, la possibilità di esprimere un voto disgiunto, l’abolizione del listino e il mantenimento del cosiddetto ‘premio di maggioranza’.
Per quanto riguarda la questione della presenza femminile nelle liste, che doveva necessariamente essere affrontata a pena di incostituzionalità della legge stessa, l’art. 3 ha previsto che in ogni gruppo di liste nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; in caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento dell’unità più vicina. l movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la proporzione di cui al presente comma sono tenuti a versare alla Giunta regionale l’importo del rimborso delle spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999 n. 157 (nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie) fillo ad un massimo della metà, in misura direttamente proporzionale ai candidati in più rispetto a quello minimo
consentito. Il presidente della Regione determina con proprio decreto l’ammontare della somma.
In pratica una previsione minimale: 1/3 di donne presenti in lista o una multa!
Un ampio commento sulla legge elettorale viene svolto dalla Commissione in una nota inviata al presidente del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, al ministro per gli Affari Regionali, Enrico La Loggia, nonché a Stefania Prestigiacomo, ministro alle pari opportunità:
La Commissione pari opportunità della Regione Puglia ha condotto, a partire dai lavori preparatori dello Statuto regionale, un’ampia ed approfondita riflessione sui principi di democrazia paritaria e sul tema della partecipazione della componente femminile alla vita politico-istituzionale.
Ha sviluppato, altresì, coerenti iniziative attraverso un costante contatto con le rappresentanti delle commissioni pari opportunità delle altre Regioni italiane e soprattutto nel confronto con la Commissione Nazionale pari opportunità presieduta dal ministro Stefania Prestigiacomo.
Da ultimo, ha seguito l’iter di approvazione della legge elettorale regionale (n. 2/2005) formulando anche emendamenti rimasti completamente disattesi.
Il bilancio nei confronti dell’attenzione dedicata dalla istituzione regionale al tema del riequilibrio della rappresentanza femminile è estremamente modesto e, a giudizio della Commissione, del tutto inadeguato se confrontato con le aspettative del mondo femminile pugliese più attento e consapevole.
Questa opinione non è ingiustificata né isolala a giudicare dalle testuali parole pronunciate, nel corso di un pubblico incontro sul tema, dal vicepresidente del Consiglio regionale, dotto Carmine Di Pietrangelo: far passare, nel Consiglio regionale più maschile d’Italia, l’adeguamento delle novità Costituzionali «non è stato facile per l’atteggiamento di sufficienza e d’ipocrisia che ancora sussiste. È stato un passo avanti ma non sufficiente.
Un ceto politico al maschile è in grado di fare norme ma è più difficile che si autoriformi: nessuno vuole cedere il potere!
Le norme possono solo aiutare ma non bastano se non c’è la consapevolezza che una democrazia, un sistema politico, sono effettivamente completi se si mette in pratica il principio dell’equilibrio della rappresentanza.
La commissione sente, pertanto, doveroso effettuare un commento sui testi normativi a partire dall’art. dello statuto che riprende in maniera pleonastica e retorica quanto già espresso dall’art. 117. 7° comma, del titolo V Cost., senza aggiungere nulla circa le modalità concrete da adottare per «rimuovere gli ostacoli ( …) e promuovere la parità di accesso alle cariche elettive».
Quindi la legge elettorale doveva rappresentare, comprensibilmente, un appuntamento importante ed un essenziale strumento per dare concretezza
al principio sancito sia nella Costituzione che nello stesso Statuto: la previsione di una equilibrata partecipazione di candidati e candidate, a parere dello scrivente Organismo, non è di natura discrezionale per le Regioni e, senza riprendere il superato discorso sulle quote, rappresenta l’espressione dell’esercizio del diritto di elettorato passivo riconosciuto a tutti i cittadini e le cittadine.
La scelta operata dall’art 3 della legge elettorale • pugliese rispetta solo nella forma ma non nella sostanza i principi di cui agli articoli 51 e 117 della Carta costituzionale e determina una oggettiva disparità di trattamento tra donne che risiedono in Regioni diverse.
A differenza di quanto è accaduto nella Regione Lazio per esempio, nella formazione della Giunta pugliese non si accenna per niente all’eventualità di una equilibrata presenza di assessori donne e peraltro, in tutto il testo dello Statuto, la parola donna è riportata solo una volta e mai viene usato il termine cittadine: evidentemente il maschile della cittadinanza è ritenuto dai componenti del Consiglio come universale!!
Invero la legge pugliese si rifà al principio contenuto nella legge n. 90/04, relativa come è noto, alle elezioni europee, che prevede la presenza nelle liste di uno dei due sessi in misura non superiore ai due terzi dei candidati con la sanzione. in caso contrario della riduzione del rimborso delle spese elettorali. Ma la legge regionale ‘dimentica’ di aggiungere un comma presente nella egge n. 90 secondo cui «sono comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da più di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi ».
Pertanto, nella Regione Puglia anche una lista con tutti i candidati dello stesso sesso avrebbe come unica sanzione la riduzione alla metà del rimborso delle spese elettorali!
E a questo proposito alla Commissione è apparsa singolare la modalità di applicazione della sanzione. prevista attraverso un decreto del presidente della Giunta, in quanta non sono chiare le conseguenze in caso di dimenticanza dell’emanazione (!) o di inadempienza nel pagamento dei partiti e manca la destinazione delle somme ricavate dalle “multe”!
L’Organismo ritiene che, pur nel rispetto della competenza esclusiva delle Regioni in materia elettorale, la legge n.. 165 del 2004 che ha disciplinato i principi fondamentali concernenti il sistema di elezione regionale, all’art. 4- letto a, doveva prevedere anche il principio del riequilibrio della rappresentanza di genere con la relativa inammissibilità delle liste prive di una equilibrata presenza di entrambi i sessi.
La mancanza di questa disposizione di principio produce nel nostro
Paese un ‘tradimento’ delle conquiste costituzionali, una oggettiva differenza
tra le leggi elettorali già approvate dalle Regioni ed una concreta ‘territoriale’ discriminazione di genere.
Infatti la Regione Lazio, nel proprio Statuto, ha fatto coerenti scelte non solo di principio ma ha previsto in Giunta una presenza di almeno cinque assessori donne su 16 e, conseguentemente, ha sancito nella propria legge elettorale la presenza del 50% di donne nella lista regionale oltre alla presenza di almeno 1/3 di candidale nelle liste.
Pertanto il tema che si pone oggi nella Regione Puglia è quello della esclusione ‘implicita’ delle cittadine in quanto se è vero che le norme da sole non possono bastare, è certamente vero che le stesse norme sono un punto fondamentale di partenza perché il sistema partitico inizi a creare un processo virtuoso di ricerca e coinvolgimento di soggetti femminili autorevoli e credibili.
Per cambiare in meglio la cultura del potere e frenare l’autoreferenzialità dei partiti ci sembra un ben misero risultato quello di trovare ‘anonimi’ cognomi femminili nelle liste pugliesi: l’astensionismo del 70% che si è registrato a Bari nelle elezioni suppletive per il Senato, evidentemente ha tra le cause anche il disinteresse delle elettrici verso candidature “inespressive” e lontane dai temi cari alla sensibilità femminile.
La Commissione rassegna queste considerazioni per una opportuna valutazione tecnico-giuridica nonché politica delle SS.LL e sottolinea come la rilevanza delle questioni poste richieda una tempestiva risposta che sarà riportala e condivisa con tutti gli organismi attivi sul territorio pugliese.

La nota è rimasta senza riscontro!

L’amarezza che ne consegue non è legata alla disattenzione nei confronti della questione sollevata dalla Commissione della Puglia ma dalla constatazione di una circostanza molto più grave ed allarmante che vede le donne italiane in genere abbastanza escluse dall’agenda della politica.
Suno ancora troppo poche le parlamentari, scarse quelle che riescono ad avere visibilità sui media e pressoché assenti nelle nomine dalla Rai alla Corte Costituzionale, presenti in numeri ridotti nelle liste elettorali e con poca voce per rappresentare i temi legati al genere: i tempi ed i modi per abbattere e superare questa difficoltà sembrano al momento lunghi e irti di ostacoli.

Nunzia Bernardini Pepe