nov 27

Attenti ai reati su Facebook

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Attenti ai reati su Facebook

Internet e Facebook  rappresentano luoghi dove si può  delinquere   nel presupposto, non vero,  della  non punibilità o della  difficile perseguibilità dei reati a mezzo web.

La grande  mole di sentenze che i tribunali stanno producendo in questo periodo  è testimonianza che la punibilità c’è e come!

Il reato più frequente  sui social network è la diffamazione per la quale , secondo i giudici, va considerato l’aggravante del mezzo di pubblicità : infatti Facebook viene ritenuto come un “luogo aperto al pubblico”,  quindi  la condotta penale è più grave e la sanzione pecuniaria è più costosa .

Ovviamente questi principi valgono anche per Twitter, Linkedin, ecc.

Non è superfluo ricordare la differenza tra diffamazione e ingiuria:  scatta il reato più grave di diffamazione se l’insulto avviene in pubblico, cioè alla presenza di più di due persone  per esempio, su un profilo personale, in una pagina, o in  chat cui partecipino più persone.

Se l’offesa viene proferita in una chat a due  il reato è  configurabile come  ingiuria e anche esso può dar luogo al risarcimento del danno.

Anche i commenti a sfondo sessuale, postati sulla bacheca della vittima,  secondo la Cassazione,  possono rientrare nel reato di molestie a  condizione che siano  tanto costanti  da recare disturbo  o costringere la parte offesa  a mutare le proprie abitudini di vita.

La vittima ha 90 giorni di tempo per sporgere querela ed  è necessario procurarsi le prove del reato. Per esempio  salvando  la pagina web su un supporto durevole , (comprendendo  anche i codici Html)   per preservarne l’autenticità anche in caso di rimozione, oppure  si può  stampare la pagina incriminata e far  attestare da un notaio  che la copia (ossia la stampa) è conforme all’originale (quella a video) o infine  avvalersi di testimoni, in grado di riferire al giudice il contenuto dei post offensivi.

La vittima  quindi può  agire penalmente nei confronti del colpevole, e chiedere successivamente  in sede  civile, il risarcimento del danno  la cui  quantificazione viene rimessa al giudice civile.

Addirittura  il pericolo grava anche su chi clicca “mi piace” ai commenti altrui e di recente  sono scattati i primi rinvii a giudizio per concorso in diffamazione aggravata che tengono conto del fatto che l’addebito offensivo alla reputazione della vittima aumenta in proporzione alle persone che apprezzano i post denigratori.

Neanche sostenere  di essere stati vittima di un furto di identità rende  facile sfuggire alla condanna penale:  l’eventuale accesso abusivo all’account di posta elettronica o al profilo social deve essere dimostrato con prove tracciabili e documentate.

Esiste anche  il  reato di sostituzione di persona che  si commette nel creare un profilo falso su un social network.  In tal caso  il dolo specifico – secondo i giudici – è rappresentato dal soddisfacimento di una propria vanità o dall’altrui danno (arrecato alla persona cui si sottrae l’identità).  Commette lo stesso reato chi apre un account email sotto falso nome, inducendo in errore i terzi.

Invece, non costituisce diffamazione linkare sul proprio profilo Facebook o su di un  sito internet un articolo offensivo scritto da altri, in quanto nel nostro ordinamento scatta la responsabilità solo per chi scrive l’articolo e non per chi rinvia a un articolo scritto da terzi.

E’ utile ricordare che è vietato pubblicare foto senza l’autorizzazione del soggetto ritratto e infatti non si possono postare neppure le foto del coniuge o di altri familiari senza il loro consenso. Così, per esempio, dopo la separazione un coniuge  può obbligare l’altro a rimuovere dal proprio profilo le immagini di scatti fatti insieme: in caso di violazione, il tribunale potrà ordinare la rimozione coattiva con un ricorso in via d’urgenza .

Sono  vietate le foto di minori anche per  una ragione di prudenza: postare le foto di minori, specie se in età scolastica, è estremamente pericoloso poiché ciò potrebbe richiamare le attenzioni di malintenzionati. E poi i genitori non possono decidere circa l’immagine di questi ultimi, disponendone a proprio piacimento.

Secondo la Cassazione  divulgare in una conversazione via chat o in una mail il numero di cellulare di altri può portare a una condanna per il reato di trattamento illecito dei dati personali .

Infine i giudici sanzionano inoltre le molestie e lo stalking commesso tramite Facebook, perché il social  rappresenta un luogo aperto al pubblico e se i messaggi sono costanti e in grado di turbare la vita della vittima  può arrivare una condanna che, nei casi più gravi,  prevede  fino a quattro anni.