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Cosa accade a conto corrente, titoli di stato, investimenti, azioni e obbligazioni in caso di decesso del titolare

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Cosa accade a conto corrente, titoli di stato, investimenti, azioni e obbligazioni in caso di decesso del titolare

Alla morte dell’intestatario di un conto corrente, i familiari hanno l’obbligo di informare tempestivamente la banca affinché compia atti volti ad evitare la sottrazione del denaro da parte di soggetti non ancora legittimati.

In ogni caso, l’istituto di credito potrebbe assumere le informazioni sul decesso del cliente anche per proprio conto ad esempio, interrogando l’anagrafe del Comune.

Con la morte del titolare, il conto viene “congelato”: nessuno degli eredi può più prelevare le somme ivi depositate.

Se dovesse farlo al bancomat o allo sportello compierebbe un illecito nei confronti degli altri eredi e sarebbe tenuto a restituire la somma, oppure potrebbe subire una querela per appropriazione indebita.

Inoltre il prelievo successivo alla morte del titolare del conto costituisce un atto di accettazione tacita dell’eredità e impedisce, quindi, la successiva rinuncia o l’accettazione con beneficio di inventario. Chi prende anche solo pochi euro si considera già erede e risponde dei debiti presenti nella successione.

La banca può autorizzare il prelievo dei soldi necessari alle spese funerarie; tuttavia è prima necessaria l’autorizzazione di tutti gli eredi i quali dovranno recarsi allo sportello della filiale ove è acceso il conto e prestare il proprio consenso per iscritto.

La banca non può chiudere il conto solo perché il titolare è morto e il rapporto continuerà anche a produrre spese e costi di gestione. Prima della formale accettazione dell’eredità e individuazione delle quote spettanti ai singoli eredi, nessuno di questi può chiedere l’estinzione del conto .

Viceversa se il conto è in rosso, non scatteranno segnalazioni alla Centrale Rischi della Banca d’Italia nei confronti dei potenziali eredi che ancora non sono divenuti intestatari del rapporto bancario che si verifica solo con l’espletamento delle pratiche di successione.

Se il conto corrente è cointestato, la banca blocca solo la metà di pertinenza del soggetto defunto mentre l’altra metà resta a disposizione del cointestatario ancora in vita.

Difatti, il denaro depositato su un conto corrente cointestato si presume di proprietà dei titolari in parti uguali: in caso di due cointestatari, ciascuno ha la metà del deposito.

 

Per sbloccare un conto corrente e far sì che tutti gli eredi possano prelevare la rispettiva quota di pertinenza è necessario che questi diano il via alle pratiche di successione. In particolare, è necessario che presentino, all’Agenzia delle Entrate, la dichiarazione di successione, atto che serve sia per identificare i soggetti eredi con le rispettive quote, sia per liquidare l’imposta di successione e chiudere i conti con il Fisco. Le imposte di successione gravano su tutti gli eredi in via solidale (il che significa che se uno di questi non paga la propria quota, l’Agenzia delle Entrate può pretendere il conto dagli altri eredi).

La dichiarazione di successione andrà poi depositata in banca la quale rilascerà, a ciascun erede, il denaro di cui questi è titolare. Solo in questo momento, quindi, si potrà avere la divisione del conto corrente tra eredi.

Dunque, non è necessario che vi sia il consenso di tutti gli eredi affinché la banca liquidi le rispettive quote: se anche uno di questi non si presenta in filiale per ritirare il proprio denaro o chiederne l’accredito sul proprio conto, gli altri coeredi possono invece pretendere la parte di propria spettanza. È un loro diritto che la filiale non può rifiutare. In caso contrario, ci si può rivolgere all’ABF, l’Arbitro Bancario e Finanziario, anche con un ricorso online. In alternativa ed ultima istanza, c’è sempre il giudice del tribunale.

È illegittima la pratica che qualche banca, in passato, ha compiuto subordinando la divisione del conto alla firma di tutti gli eredi: una volta depositata la dichiarazione di successione si può procedere individualmente.

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Erede non fuma la vendita dei titoli

Oltre al contratto di conto corrente, nella successione potrebbero essere presenti dei titoli di Stato, obbligazioni, azioni, fondi di investimento che, per poter essere venduti, richiedono l’accettazione del relativo intestatario. Al quale, però, in caso di decesso, subentrano gli eredi. Ebbene, che fare se uno di questi non firma la vendita degli investimenti? Cosa possono fare gli altri eredi?

Con la dichiarazione di successione la banca potrebbe dividere in natura i titoli di Stato, assegnando a ciascun erede il valore corrispondente alla propria quota di successione. Tuttavia, non sempre ciò è possibile perché, in un portafoglio, possono essere presenti titoli, obbligazioni e azioni di natura diversa, con scadenze e rendimenti differenti, e differente convenienza. Un’operazione di questo tipo è molto complessa. Sicché, la cosa migliore è la vendita per poi dividere il ricavato tra gli eredi. Lo stesso vale per i buoni fruttiferi postali, considerati come i titoli di Stato.

Ebbene, per vendere i titoli o i fondi è necessario un ordine proveniente da tutti gli eredi cointestatari. Basterebbe anche una procura speciale con firma autenticata, rilasciata a uno dei coeredi. Se un erede non firma, gli altri potrebbero diffidarlo con una raccomandata a.r. Se neanche la diffida sortisce l’effetto sperato, i coeredi possono rivolgersi al giudice affinché, con una sentenza, ingiunga al soggetto in questione di prestare il proprio consenso o, in alternativa, nomini un delegato a sostituirlo nell’adempimento.